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Notizia

Oct 02, 2023

Cofanetto di vetro

Ripensa a diciassette anni e immagina com'era il mondo. La musica era molto diversa. Il Deathcore era molto diverso. L'ultima volta che i Glass Casket hanno pubblicato un disco è stato il 2006 e dopo tanti anni di inattività, penseresti che fossero morti e sepolti, ma in realtà stavano aspettando il momento giusto per essere riesumati. E quel momento è adesso.

Per chi non lo sapesse, i Glass Casket si descrivono come una band "progressive tech-death" e non si può fare a meno di essere d'accordo. Il loro sound è ovviamente radicato nel deathcore, ma sembra meschino incasellarlo in un genere noto per la sua implacabilità poiché, attingendo da una tavolozza molto più ampia, le loro canzoni sembrano individuali e sorprendentemente fresche. Certo, sono pesanti, oscuri e intensi, ma nonostante contenga solo quattro canzoni discrete, l'EP è notevolmente vario. Ad esempio, il groove lento e meditato di "Merrymaker" crea un grande contrasto con la scattante "Prison Of Empathy", ma qui c'è un'ampiezza e una profondità sorprendenti, il che significa che stanno facendo di più che rianimare un cadavere, e questo EP omonimo è una rinascita ideale.

Dal 2006, il chitarrista Dustie Waring e il batterista Blake Richardson hanno perseguito i loro impulsi progressive metal con Between The Buried & Me, quindi non sorprende che le canzoni qui facciano di più che cercare di sottometterti incessantemente. Invece, usano riff e strutture intrecciate per avvolgerti come tentacoli e trascinarti lentamente nel loro mondo oscuro. Questo non vuol dire che non ci siano alcuni crolli seriamente pesanti, specialmente in "Prison Of Empathy", ma trovano costantemente modi più interessanti per intrappolare l'ascoltatore, il che è una vera impresa.

Mentre band come Lorna Shore sono sotto i riflettori per aver spinto il deathcore in direzioni diverse, si tratta di una decostruzione meno ovvia che gioca con la forma consolidata del genere. "For The Living" lo rende abbondantemente chiaro mentre si flette e si contorce per sei minuti e, nonostante si spacchi in due con un malvagio assolo di chitarra, non sembra mai perso o incoerente. Allo stesso modo la frenetica danza dei riffwork sotto "Let Them Go" mostra una serie di idee intrecciate che cambiano gradualmente la forma della canzone senza perdere la sua straordinaria sensazione di coesione. È anche degno di nota il modo in cui la batteria di Richardson influenza il suono in modi interessanti, specialmente le sezioni groove sotto "Prison Of Empathy", ma dà ad ogni canzone il proprio feeling e carattere.

Il cantante di ritorno Adam Cody ha una voce acuta e roca che è piacevolmente distinta e più che all'altezza dei riff e dei ritmi intrecciati che lo circondano. È davvero impressionante quando passa da un profondo ruggito gutturale a urla più acute in "Let Them Go", che mostra anche come un approccio più brillante e penetrante ai testi possa influenzare il tono generale dell'EP.

Ironicamente, invece di preservare e mostrare chi erano, i Glass Casket hanno tenuto il passo con il passare del tempo ed è molto più facile ammirare chi sono adesso. Con canzoni ampie e ponderate, non sono zombie barcollanti, questo è un ritorno impressionante e una progressione tempestiva.

IAN KENWORTHY

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